La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese per le violenze subite da Valentino Saba nel 2000 all’interno del carcere di Sassari, dove era detenuto. I giudici di Strasburgo rilevano anche come molti agenti colpevoli non abbiano ricevuto pene adeguate, e mette in causa i tempi troppo lunghi del processo, terminato con la prescrizione per molti degli imputati.
Per la seconda volta in pochi giorni l’Italia viene condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione che proibisce la tortura e ogni forma di trattamento inumano e degradante. Il nostro Paese inaugura così il semestre di presidenza europea con un nuovo richiamo da parte dei giudici di Strasburgo in merito al nostro sistema di giustizia e sicurezza all’interno delle carceri. Dopo il caso di Dimitri Alberti di una settimana fa, questa volta la Corte punta il dito contro le violenze subite da Valentino Saba, avvenute nell’aprile del 2000 all’interno del carcere di San Sebastiano a Sassari, dove era detenuto.
Una condanna che, secondo Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, “dimostra da un lato il fatto che l’Italia ha ancora importanti passi da fare in tema di diritti delle persone detenute, e dall’altro che il dialogo con l’Europa sta funzionando, nel senso che riceviamo continuamente indicazioni di cui è importante che il governo faccia tesoro”.
Ma la Corte di Strasburgo non si è limitata a riconoscere le violenze, per le quali ha stabilito che lo Stato dovrà risarcire Valentino Saba con 15mila euro (lui ne aveva chiesti 100mila) per danni morali. I giudici richiamano anche i tempi lunghi del processo, che in molti casi ha portato alla prescrizione per molti degli imputati, e le pene troppo leggere per chi è stato condannato, in rapporto ai fatti commessi (uno degli agenti che non ha denunciato le violenze dei suoi colleghi è stato condannato a pagare una multa di 100 euro).
“La corte ci condanna soprattutto perché l’Italia non ha saputo rispondere adeguatamente a quei maltrattamenti – sottolinea Scandurra – La maggior parte degli imputati furono prosciolti per prescrizione, e questo perché in Italia non c’è il reato di tortura. È uno strumento giuridico importantissimo perché queste cose vadano in modo diverso, e sarebbe anche un segnale culturale e politico importante. Il fatto che ad oggi il Parlamento italiano non abbia mai adottato una legge per introdurre nel codice penale il reato di tortura significa che prendiamo queste cose sottogamba – spiega il membro dell’Associaizone Antigone – e da questo deriva un senso di impunità che nei fatti è poi spesso confermato”.
Andrea Perolino