La rubrica del nostro Ibrahim Traore per conoscere la situazione nei Paesi africani da cui fuggono i migranti giunti in Europa ci porta in Uganda. Il Paese vive nell’instabilità politica ed economica: scontri etnici, un presidente al potere da 30 anni e la pressione migratoria. L’intervista alla giornalista Paola Mirenda e al rifugiato Jovany Kaliango.
Per comprendere l’instabilità, gli scontri etnici e la situazione attuale dell’Uganda occorre partire da lontano.
Il 9 ottobre 1962, dall’indipendenza dell’Uganda, il Paese si è posto in modo acuto il problema delle strutture politiche. La soluzione individuata, espressa nella prima Costituzione, è di tipo federale e riunisce i quattro vecchi regni, ma quello del Bouganda mantiene la sua preponderanza, al punto di ritrovarlo nel nome del nuovo Stato, l’Uganda, paese dei Bagandas.
Kabaka Mutesa II diventa il presidente a vita. Milton Obote, fondatore nel 1960 del Congresso del popolo ugandese, Uganda People’s Congress o Upc, diventa Primo ministro. L’upc, nell’immagine del suo dirigente, è il partito dei popolazioni nilotiques del Nord, oppositore del dominio economico e della politica del Bouganda e, dunque, favorevole alla centralizzazione.
Da allora, le tensioni tra i Nord nilotique ed il Sud bantù si esacerbano.
Nel maggio 1966 Milton Obote, per imporre la centralizzazione, manda l’esercito nel Bouganda e depone il re Kabaka Mutesa II con l’appoggio del suo capo di Stato Maggiore, Idi Amin Dada. Questo ultimo appartiene ad un etnia musulmana minoritaria del nord-ovest.
Obote fa promulgare, il seguente anno, una nuova Costituzione che abolisce i regni, ed istituisce un regime presidenziale a partito unico. La resistenza dei Baganda, che la politica di nazionalizzazione del commercio intrapresa per Obote minaccia direttamente nei loro interessi, la degradazione economica e le accuse di corruzione si coniugano per destabilizzare Obote.
Il 25 gennaio 1971, Idi Amin Dada prende il potere con un colpo di stato. All’inizio, sostenuto dai Paesi occidentali che temevano un orientamento troppo socialista del regime precedente, Amin Dada viene lasciato agire e il suo regime diventa tirannico e sanguinario. In otto anni di potere, il regime viene accusato della morte o della scomparsa di 300mila ugandesi.
Nel 1979, dopo alcuni ammutinamenti dell’esercito, Idi Amin Dada, scatena la Guerra ougando-tanzaniana. La Tanzania contrattacca e, con l’aiuto del movimento di resistenza ugandese, prende la capitale Kampala e depone Amin. L’ex-dittatore va allora in esilio in Libia, poi in Arabia Saudita dove muore nel 2003.
Dopo alcuni mandati presidenziali di breve durata, nel 1980 torna al potere Milton Obote, e si apre una stagione di vendette contro i sostenitori di Amin.
Nel gennaio 1985 Obote viene nuovamente destituito dal generale Tito Okello. Il nuovo presidente acconsente a negoziare con il NRA di Yoweri Kaguta Museveni, ma i colloqui di pace di Nairobi si concludono senza raggiungere risultati. Dopo una breve tregua, Museveni riprende la lotta contro il governo. Il 26 gennaio 1986 conquista la capitale Kampala e tre giorni dopo si autoproclama nuovo presidente.
Museveni è, da oltre trent’anni presidente dell’Uganda. È stato riconfermato in carica nel 1996, 2001, 2006, 2011 e 2016. “È una situazione simile a quella di altri Paesi della regione”, spiega ai nostri microfoni la giornalista Paola Mirenda.
L’attuale presidente è da molti considerato a tutti gli effetti un dittatore. Le opposizioni denunciano che quelli che si oppongono a lui vengono assassinati o sono obbligati a lasciare il Paese per evitare di essere assassinati.
Ibrahim Traore