Aumenti di spesa, boom di armamenti con discutibili scuse e autentici regali alle imprese che fabbricano armi. La spending review non ha colpito le spese militari italiane, che dal 2006 sono cresciute del 21%, raggiungendo i 23,3 miliardi. Gli armamenti aumentati dell’85%. L’osservatorio Mil€x ha diffuso il rapporto annuale, dove emergono gli sperperi e le spese folli per la difesa. L’intervista ad Enrico Piovesana.
I dati sulle spese militari italiane presentate ieri dall’osservatorio Mil€x sono un autentico pugno nello stomaco a quanti, causa crisi, hanno perso il lavoro o vivono difficoltà economiche.
Le restrizioni e la spending review che ha contraddistinto tutti i settori sociali, infatti, non ha minimamente intaccato gli investimenti che lo Stato italiano ha fatto per la difesa armata. In dieci anni, dal 2006 ad oggi, le spese militari sono aumentate del 21%. Una quota che aumenta fino all’85% se si considerano le spese per gli armamenti.
I dati definitivi sulla spesa militare italiana nel 2017 si attestano sui 23,3 miliardi, pari all’1,4% del pil. In un solo anno gli armamenti hanno subito un boom del 10%, pagato salatissimo attraverso mutui con tassi di interesse del 30-40%, pari a 310 milioni di euro.
Ad aumentare è anche la spesa per le missioni militari all’estero, che raggiunge gli 1,28 miliardi (+7% sul 2016).
Le giustificazioni addotte per gli aumenti, del resto, sono discutibili. Lo Stato cavalca la lotta al terrorismo, il contrasto all’immigrazione e alla criminalità.
Tra le pieghe del bilancio della difesa, inoltre, troviamo autentici regali alle fabbriche di armi. È il caso, ad esempio, dei 30 miliardi di euro spesi per migliaia di corazzati, mezzi usati pochissimo e solo a scopo di marketing.
Non va meglio se parliamo del “Programma Navale” (5,4 miliardi di euro): i dettagli tecnico-economici e i retroscena politici sono contraddistinti da una retorica umanitaria e, al contempo, da reticenze per nascondere una seconda portaerei e altre sette fregate.
“La logica è sempre quella degli interessi della lobby industriale – osserva Enrico Piovesana dell’osservatorio Mil€x – Finmeccanica, Fiat Iveco Difesa e tutto quel comparto, per quanto minoritario nell’economia italiana, è molto potente dal punto di vista politico. Ciò che guida le scelte, come comprare e produrre nuovi carriarmati e blindati, in quantità gigantesche e inutili, non riguarda le necessità di difesa italiane, ma sono interessi economici e interessi politici ad essi legati“.
All’orizzonte, inoltre, non sembra esserci alcuna inversione di tendenza. L’Italia vuole spendere 22 miliardi di euro per la digitalizzazione dell’esercito, di cui un miliardo solo per la fase di sviluppo, la cui conclusione è prevista per il 2021.
“Grossa parte delle spese – spiega Piovesana – sono per la casta delle stellette. Ammiragli e generali che stanno dietro scrivanie. Occorrerebbe che di questi temi si dibattesse di più, sia a livello parlamentare che mediatico”.