Anche in Emilia Romagna si registrano gli effetti dei cambiamenti climatici e le conseguenze sulla produzione agricola sono già presenti. Il freddo di maggio e lo stress climatico ha rallentato la produzione di pomodori, quasi dimezzandola. Secondo il Cnr il rischio desertificazione riguarda più del 30% dei terreni della nostra regione. La resilienza della Bonifica Renana.
Gli incendi nell’Artico e in Amazzonia hanno finalmente dato uno scossone alle coscienze, riportando al centro dell’attenzione il cruciale tema del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. L’impatto e le conseguenze dei mutamenti, però, sono già visibili anche su scala locale e gli esempi non sono più considerabili solo episodi. Dalle stagioni impazzite ai record di caldo, da fenomeni atmosferici sempre più violenti ad effetti concreti sull’agricoltura.
Il problema riguarda anche l’Emilia Romagna, la cui produzione agricola sta registrando cali consistenti proprio per effetto dei cambiamenti climatici.
L’utimo allarme in ordine di tempo è arrivato ieri e riguarda la produzione di pomodori. A lanciarlo è stato l’OI-pomodoro da industria del Nord Italia (ente che raggruppa gli operatori della filiera), che ieri ha diffuso i dati in occasione della visita dell’assessore regionale all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Simona Caselli, ospite dell’azienda Rodolfi Mansueto di Parma.
“La campagna 2019 sta procedendo con una settimana di ritardo rispetto al normale andamento delle stagioni passate. Ad aver inciso è stato soprattutto il maltempo di maggio con costanti piogge, sono caduti sino a 300 millimetri d’acqua in quel mese, e temperature ben al di sotto delle medie stagionali, si è scesi anche a minime di 6 gradi. Ne è conseguito un rallentamento del processo di maturazione del pomodoro”, spiega Tiberio Rabboni, presidente dell’OI. “A questo si sono poi aggiunti i danni derivanti da grandinate, bombe d’acqua e forte vento che si sono alternati ad ondate di calore con picchi anche di 40 gradi. Tutte condizioni che hanno stressato le piantine in campo. Ad oggi si è raccolto poco più di un milione di tonnellate di pomodoro, meno della metà del contrattato, quando di solito in questo periodo si è in genere già oltre la metà dei quantitativi richiesti dalle imprese”, specifica Rabboni.
La Regione cerca di correre ai ripari, come ha spiegato l’assessore Caselli: “Per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, che si manifestano con sempre più preoccupante frequenza, da un lato abbiamo avviato, in collaborazione con i consorzi di bonifica, un maxi-piano di investimenti da oltre 215 milioni per il potenziamento degli invasi e la modernizzazione delle infrastrutture irrigue per fronteggiare le conseguenze dei periodi siccitosi”.
Proprio l’approvvigionamento idrico è uno dei temi principali che riguarda l’Emilia Romagna, che negli ultimi anni ha visto alternarsi siccità e alluvioni a causa del cambiamento delle precipitazioni e della loro intensità.
Le temperature bollenti sono certificate anche dall’Organizzazione Metereologica Mondiale, che ha classificato il mese di luglio 2019 come il più caldo da quando si hanno rilevazioni climatiche sistematiche, cioè dal 1880. Non solo: 9 dei 10 mesi di luglio più caldi di sempre si sono concentrati dal 2005 ad oggi.
Un rischio concreto, connesso al surriscaldamento, è la desertificazione. Secondo il Cnr, in Sicilia le aree a rischio desertificazione sono ormai il 70%, nel Molise il 58%, in Puglia il 57%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50% dei suoli disponibili. Quindi, anche in Emilia-Romagna – regione che detiene il primato nazionale delle produzioni agro-alimentare di qualità certificata – oltre il 30% dei terreni fertili è a rischio.
Anche in questo caso si cerca di correre ai ripari e per prevenire la desertificazione dei suoli un ruolo centrale è svolto proprio dai consorzi di bonifica che evocava l’assessore Caselli.
“Sicuramente la presenza di un sistema irriguo razionale, efficace e continuativo, contribuisce a contrastare la tendenza alla desertificazione di un’area surriscaldata e soggetta a fasi siccitose – osserva in una nota Alessandra Furlani, agronomo e responsabile comunicazione della Bonifica Renana – Infatti, per produrre un solo kg di sostanza organica, il ciclo biologico dei vegetali necessita di circa 500 litri d’acqua. Il contenuto di sostanza organica varia dall’1 al 4% nei terreni coltivati; se scende sotto l’1% il processo di desertificazione è già in atto”.
Nella pianura bolognese la Bonifica Renana distribuisce mediamente ogni anno circa 70 milioni di metri cubi di acqua di superficie per l’irrigazione, soddisfacendo le esigenze idriche di 17 mila ettari coltivati, da marzo ad ottobre. Si tratta di acqua proveniente esclusivamente da fonti di superficie e, quindi, rinnovabile; al contrario di quella prelevata tramite pozzi dalle falde sotterranee. Senza dimenticare che la distribuzione irrigua contribuisce indirettamente anche a rimpinguare le falde, contrastando la risalita del cuneo salino nelle aree vicino alle coste.
Appare quindi chiaro che le misure che vengono ora messe in campo sono strategie di resilienza ad un fenomeno che è già conclamato e che sta inesorabilmente cambiando le nostre vite, le nostre abitudini e i tradizionali sistemi di produzione di cibo. Gli adeguamenti alle nuove condizioni climatiche, inoltre, comportano spesso investimenti consistenti: un prezzo che stiamo pagando in termini economici a vari livelli.