Dare vita a villaggi dove non ci siano tasse, soldi o leggi, per superare la crisi e il consumismo. Non lo propone un anarchico, ma un industriale bolognese, Giovanni Sassoli De Bianchi, che da anni insegue il sogno di queste nuove comuni (oggi ecovillaggi) e che punta a fare massa critica per essere ascoltato in Parlamento.

Fa strano che a dirlo sia un ricco industriale della nostra città, ma tant’è. Per fronteggiare la crisi economica, che sembra essere in una spirale senza fine, occorre riaprire le vecchie comuni, dare vita a più moderni ecovillaggi o comunque piccole comunità dove riscoprire la solidarietà.
L’idea, che movimenti sociali praticano in realtà da decenni, ora ha anche un brand – il Partito dei Nuovi Villaggi – e un sito (www.partitonuovivillaggi.it), con tanto di modulo da compilare per ottenere il riconoscimento.

La proposta è stata avanzata da Giovanni Sassoli De Bianchi, ex patron della Buton che produceva la Vecchia Romagna, e prevede la creazione di comunità autonome, senza leggi, auto, tasse né denaro per uscire dalla crisi e superare il consumismo sfrenato che consuma le risorse naturali come se fossero infinite.
In una ricostruzione su Repubblica Bologna, si testimonia come l’idea di Sassoli De Bianchi sia ricorrente. Otto anni fa comprò una pagina sui quotidiani nazionali e andò poi a distribuire volantini davanti alla Camera dei Deputati. L’industriale ricorda che solo Rosi Bindi si dimostrò interessata, ma poi non successe nulla.

Perché la forma-partito e non, invece, una rete autonoma e alternativa? Perché per poter esistere, essere riconosciuti e beneficiare di misure come la no-tax area occorre una modifica alla Costituzione e una decisione a livello statale. Altrimenti si cade nell’illegalità. “La ragione per cui uno Stato sovrano dovrebbe decidere di promuovere lo studio dei Nuovi Villaggi – si legge nel manifesto dell’iniziativa – con la finalità di costruirli e sottrarli quasi totalmente alla propria legislazione vigente, è che i parlamentari che formano la maggioranza abbiano compreso e riconosciuto l’impossibilità dello Stato stesso di riorganizzare in tempi brevi, ed in modo economico, la totalità del proprio territorio mediante la legislazione ordinaria”.