E’ Remo Guidotti, bolognese affetto da un disturbo della personalità, l’ultimo comunista a credere ai Bolscevichi che guidarono la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Sulla piazza di Cavriago, davanti al busto di Lenin, fa uscire da sé Lenin, Trotsky, Molotov, Stalin, Machno e Majakovskij; parla con Aleksandra Killontaji e con tutte le altre mogli e compagne dei rivoluzionari.
Marco Cavicchioli porta in scena l’ultimo capitolo della sua Red Trilogy, dopo Ombre rosse e Banditen, con Revolyutsiya, un testo ironico ma anche terribilmente amaro sul dolore personale di un comunista, figlio di comunisti e nipote di un partigiano, di fronte alla fine dell’Unione Sovietica, del PCI, dei riferimenti ideali e politici di tutta la sua vita.
Il protagonista, Remo Guidotti, è a lungo stato ricoverato, nel passato, all’ospedale Roncati, perchè si credeva Yurij Gagarin, poi, con la riforma basagliana, viene rimesso in libertà e va a vivere dai nonni in montagna, a Grizzana, quei nonni che hanno fatto la resistenza e militato tutta la vita nel PCI. Remo continua ad andare in giro vestito da rivoluzionario, con una vecchia radio a transistor sintonizzata su emittenti russe, con l’impermeabile tempestato di spillette del Partito Comunista e dei suoi eroi, Lenin in testa.
L’avere Lenin in testa non è per lui solo un modo di dire, Lenin e tutti gli altri protagonisti della Rivoluzione d’Ottobre, gli sono letteralmente entrati nella testa. A ragione del disturbo dissociativo di identità che lo affligge, Remo incarna quei personaggi mitologici che rappresentano per lui i valori per i quali vale la pena vivere e combattere, anche nel presente, per far ripartire la rivoluzione, foss’anche solo dalla piazza della minuscola Cavriago.
Come nel 1256 Bologna anticipò, con il famoso Liber Paradisus, la liberazione dei servi della gleba in Russia di sei secoli, ora, con la disintegrazione dell’Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino, gli ideali di giustizia e dignità sociale alla base di quello straordinario entusiasmo rivoluzionario del ’17, potrebbero rinascere dagli abitanti della cittadina emiliana raccolta attorno al busto bronzeo dell’amato Lenin, donato da Brezhnev ai cavriaaghesi nel 1970 in occasione dell’intitolazione della piazza al padre della Rivoluzione d’Ottobre.
Remo riceve via radio notizia certa dell’ arrivo imminente a Cavriago di un pulmann dall’amata Russia che porterà tutti i suoi idoli rivoluzionari, a incitare una nuova riscossa a partire da quel simbolico luogo da cui nel 1918 venne spedito a Mosca un articolo apparso sull’Avanti che apertamente sosteneva l’azione della corrente intransigente, interna al Partito Socialista (da cui nascerà più tardi il Partito Comunista Italiano), per “fare come la Russia” approvando il programma dei Soviet. Questo sogno rivoluzionario di Remo resta sospeso tra desiderio e follia nella chiusa dello spettacolo, mentre l’uomo viene accompagnato lontano dalla piazza dall’amica baskers, di nome Emma, con la compiacenza che si concede ai pazzi.
E’ uno spettacolo interamente sospeso tra l’allucinazione e la reale spinta politico rivoluzionaria del protagonista e questo gioco teatrale all’impersonare i tanti ruoli ricoperti dai padri e madri della rivoluzione, consente a Cavicchioli di raccontare le diverse anime di quell’utopia e, di conseguenza di divertirsi ad essere quegli straordinari protagonisti della storia del ‘900.
Si ride molto, ma si ha anche modo di riflettere sulla declinazione concreta di quegli alti ideali nella pratica di governo non solo dei Bolscevichi, ma anche di quanti a loro dicevano di ispirarsi, con o senza baffi.
Remo è un personaggio che cattura subito la simpatia del pubblico ed è uno a cui, se lo incontrassero realmente su una pubblica piazza, tutti i presenti probabilmente offrirebbero un bicchiere di vino parlando del compagno Lenin, pur continuando a pensare che forse forse i manicomi avevano qualche ragione per esistere. Quando Remo racconta di nonno Pepo, il partigiano comunista, ateo inconciliabile, viene voglia di ascoltare gli aneddoti di quel nonno che non sfigura affatto nel pantheon laico di Remo accanto al visionario Trotsky, che voleva cambiare il mondo e a Majakovskij, che ha dato parole alate alla rivoluzione fino alla grande caduta di quel sogno, con la morte di Lenin.
Tra continue illusioni e disillusioni vive Remo la sua passione rivoluzionaria e in un ora e mezza porta anche il pubblico a bordo di una navicella spazio- temporale a conoscere gli incendiari di quella fiammata che sconvolse il mondo a partire dal 1917, scatenando entusiasmi senza precedenti, tanto da produrre, di conseguenza, azioni politiche violente a fermare l’efficace sloogan “fare come la russia”. Ma questa è un’altra storia.
Pur con pochi mezzi tecnici, in un teatro bolognese da sempre dedicato all’avanguardia e a spettacoli a sfondo politico, Bruno Stori e Marco Cavicchioli hanno saputo portare all’uditorio uno spettacolo di grande spessore culturale e insieme capace di divertire e chissà, forse di immaginare una futura umanità alimentata da quelle primigenie fiammelle rivoluzionarie.