Un ciclista che decise di arrivare ultimo per essere ricordato. Un intellettuale che ha sempre frequentato le periferie. Il fotografo dei rom. Un aspirante pugile di Marrakech che infrange il suo sogno tra i senza casa di Bologna. Il lavoro nero e mal pagato e le capanne lungo l’alveo del fiume Reno. Le migrazioni del nuovo millennio, i muri e i fili spinati, le occupazioni e gli sgomberi. La città vista in “orizzontale” di chi vive sdraiato su un marciapiede.Sono questi i personaggi che animano i dieci racconti che compongono “Mala Brocca – Storie di ultimi e dignità” (edizioni Pendragon), l’ultimo libro di Valerio Monteventi.
La prima presentazione pubblica del libro avverrà “in casa”, a Vag61, alle 16.00 di domenica 20 ottobre, all’interno di “CarmillaFest“, la due giorni di dibattiti, musica e gastronomia popolare dedicata all’immaginario d’opposizione.
Ma “domestiche” sono anche le fonti del libro, dal momento che sonostate recuperate negli archivi dei giornali “Mongolfiera” e “Zero in condotta” e del Centro di documentazione dei movimenti “F. Lorusso – C. Giuliani” che hanno sede a Vag 61. Allo stesso modo, la copertina del libro è composta da una fotoscattata negli anni Trenta, che ritrae la madre di Monteventi, ancora bambina, nel lavoro dei campi. “Mia madre tenne quella foto all’ingresso di casa – osserva l’autore ai nostri microfoni – e diceva sempre che non bisogna vergognarsi di essere poveri, l’importante è avere la dignità“.
Il filo rosso che lega i racconti, incentrati su soggetti anche molto diversi fra loro, è rappresentato da vent’anni di lotte per la dignità a Bologna e altrove, in mezzo agli ultimi e a coloro che, nonostante i tempi, ancora si impegnano per costruire un mondo più giusto.
Il personaggio centrale del libro, il cui cognome dà il titolo all’opera stessa, è Luigi “Luisìn” Malabrocca, il più giovane di sette fratelli, pescatore d’acqua dolce e corridore in bicicletta. Diventò famoso alla fine degli anni Quaranta per un record ciclistico “al contrario”: si aggiudicò per due anni di seguito la maglia nera, quella che indossava l’ultimo della tappa. Vista la notorietà (e il premio in denaro) che ne derivava, da allora la sua missione da sportivo fu essere ultimo sempre, a ogni costo.
“Nel libro parlo anche di personaggi, fotografi, intellettuali e un poeta, che si sono occupati e spesi per gli ultimi”, racconta Monteventi.
Il libro intero, invece, è dedicato a Laye, un ragazzo senegalese che, nonostante vivesse in condizioni di emergenza si prodigava per aiutare gli altri che vivevano nella sua stessa situazione. “Era molto noto nel mondo musicale, perché frequentava il laboratorio Afrobeat – ricorda Monteventi – Laye fu ucciso nell’agosto del 2016 da una coltellata di un ragazzo magrebino, appena uscito dal carcere, che aveva invitato a cenare con lui. Mi sembrava giusto ricordare anche questa storia”.
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