Sabato 16 febbraio a Roma si terrà una manifestazione per chiedere la fine dell’isolamento e la liberazione di Öcalan. Una lotta, quella del popolo Curdo, che vede le donne al centro, in Rojava ma anche nello sciopero della fame portato avanti da inizio novembre dalla deputata HDP Leyla Güven. E così sarà anche sabato, con lo spezzone di donne portato dalla Rete Jin.

La Rete Jin (donna, in curdo) è la rete delle donne in solidarietà con il movimento delle donne curde e quindi, più in generale, con la lotta per il confederalismo democratico: contro stato, patriarcato e capitalismo; per la democrazia, la rivoluzione delle donne e il cambiamento sociale. Insieme a Marilena e Amara, due donne curde che fanno parte della rete Jin di Bologna, la nostra collaboratrice Piera Stefanini ha ripercorso la storia del movimento curdo e del ruolo crescente delle donne e delle loro rivendicazioni al suo interno, in vista della manifestazione di questo sabato per la liberazione di Abdullah Öcalan che vedrà la partecipazione di uno spezzone di donne. “Sabato ci sarà uno spezzone di donne – spiega infatti Marilena – che sarà identificato da uno striscione con scritto La rivoluzione è vita. In Italia abbiamo sempre in qualche modo reso evidente o visibile la partecipazione come gruppo di donne all’interno dei cortei”.

Una visibilità che fa il paio con la centralità del movimento delle donne nella lotta del popolo Curdo. Quando nel ’78 fu fondato il movimento curdo, “Non era esplicitamente un movimento di donne ovviamente – spiega Amara – era un movimento nazionale di curdi. Il movimento delle donne fu fondato dopo, perché videro che nonostante vi fosse un concetto di liberazione, la liberazione delle donne non era analizzata nello specifico. Possiamo dire che adesso la liberazione delle donne è una parte più essenziale del movimento, soprattutto negli ultimi quindici anni. Ad oggi la liberazione delle donne è al centro del movimento. Possiamo vederlo in pratica in Rojava, nel Nord della Siria, dove le donne sono ovunque in prima linea in ogni ambito. Sono nell’amministrazione, nelle milizie, nelle scuole, lavorano in ogni campo”. Anche Marilena rimarca come la questione di genere sia ad oggi centrale nel processo di rivoluzione dal basso del popolo Curdo: “finora le rivoluzioni che sono state fatte erano molto concentrate sulla questione di calsse, e si era un po’ trascurato volutamente o non volutamente la questione di genere. Invece il popolo Curdo negli anni ha lavorato e ha capito che è importante che le donne si liberino, perché tutte e tutti raggiungano la libertà“.

Tra i fondatori del movimento, insieme ad Abdullah Öcalan vi era anche Sakine Cansiz, una delle 3 donne curde uccise a Parigi il 9 gennaio 2013. “Dietro agli omicidi c’era lo Stato Turco ovviamente – scandisce Amara – era durante un periodo in cui un processo di pace tra i Curdi e i Turchi era sul punto di svilupparsi, e fu una manipolazione del processo di pace. Ma fu anche un attacco contro le donne, possiamo dirlo, perché in quel periodo il movimento delle donne era davvero molto forte in tutto il Kurdistan e anche in Turchia e in Siria”.
E proprio in memoria delle attiviste curde Sakine Cansiz, Dogan Fidan e Leyla Saylemez assassinate in pieno giorno nel cuore di Parigi, negli uffici del Centro di Informazione del Kurdistan situato al 147 di rue La Fayette, “come gruppo di donne il 9 gennaio abbiamo organizzato un’inziativa in ricordo del triplice femminicidio politico – racconto Marilena – contro tre donne fondamentali per il movimento di liberazione delle donne”.

E anche nella lotta per la liberazione di Öcalan il movimento delle donne si sta schierando in prima linea. Abbiamo già parlato dello spezzone che sarà portato nella manifestazione di sabato, spiegato così nel comunicato diffuso dalla Rete Jin: “La Turchia minaccia di attaccare l’esperienza del confederalismo democratico nella Confederazione della Siria del nord: questo rappresenta probabilmente il rischio più grosso vissuto finora dalla rivoluzione, basata sulla liberazione delle donne, del nord est della Siria. A livello locale, questo si traduce in un aumento della repressione contro chi esprime solidarietà al movimento kurdo; repressione che sta colpendo compagne e compagni -in Italia e non- che hanno fatto la scelta di recarsi lì per difendere la rivoluzione sociale. A loro va la nostra solidarietà: toccano un* toccano tutt*. In questo scenario, più che mai, è necessaria e improrogabile la liberazione di colui che ha fondato e guidato il movimento di liberazione kurdo, che ha sviluppato le idee alla base della rivoluzione sociale in Rojava, che ha costantemente dato forza e spazio all’organizzazione autonoma delle donne, continuando a dare ispirazione ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo: Abdullah Ocalan”.

Anche la deputata HDP Leyla Güven, in carcere fino al 25 gennaio, sta facendo uno sciopero della fame da 98 giorni. “Questa resistenza, questo sciopero della fame – racconta Marilena – è partito da una donna, che è una politica Curda che ha dfeciso di cominciare la sua resistenza l’8 novembre del 2018. Lo sciopero della fame come forma di resistenza e parte della lotta di liberazione comincia proprio nella città dove lo stata facendo, una città che durante la dittatura del 12 settembre del 1980 all’interno delle carceri era un modo di resistere. Lei ha cominciato questa sua resistenza con l’intenzione di far finire l’isolamento di Abdullah Öcalan che è in isolamento totale dove non può ricevere nè legali nè parenti”.

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