Pene dai 9 ai 13 anni di carcere sono state comminate dalla Corte Suprema spagnola a 9 dei 12 leader indipendentisti catalani, fra cui l’ex vicepremier Oriol Junqueras, che sono stati riconosciuti colpevoli, secondo i giudici, di sedizione e appropriazione indebita. Non sarebbe quindi stata provata la colpevolezza per il reato più grave di ribellione, per il quale l’accusa aveva chiesto 25 anni.
Oltre a Junqueras, i condannati, già in detenzione preventiva, sono la ex speaker del parlamento catalano Carmen Forcadell, i leader indipendentisti Jordi Sànchez e Jordi Cuixart, e gli ex ministri catalani Dolors Bassa, Joaquim Forn, Raul Romeva, Jordi Turull e Josep Rull.
Gli altri tre imputati, a piede libero, Carles Mundó, Meritxell Borràs, Santi Vila, sono stati condannati a delle ammende. La sentenza mette fine a due anni di processo, iniziato esattamente due anni fa e durato quattro mesi, con 52 udienze.
Tra le prime reazioni si registra quella dell’ex presidente Carles Puigdemont, che su Twitter ha scritto: “100 anni di carcere in totale. Una barbarie. Ora più che mai, dalla vostra parte e delle vostre famiglie. Occorre reagire, come mai prima d’ora. Per il futuro dei nostri figli. Per la democrazia. Per l’Europa. per la Catalogna”.
100 anys de presó en total. Una barbaritat. Ara més que mai, al vostre costat i al de les vostres famílies. Toca reaccionar, com mai. Pel futur dels nostres fills i filles. Per la democràcia. Per Europa. Per Cataunya.
— Carles Puigdemont (@KRLS) October 14, 2019
Da Barcellona, il giornalista Luca Tancredi Barone racconta le reazioni e commenta le condanne. “La notizia è stata una bomba atomica – racconta il giornalista – anche se qualche anticipazione era stata fatta filtrare nei giorni precedenti per vedere le reazioni che avrebbe provocato. Le persone in Catalogna si sono riversate in strada, hanno bloccato strade e autostrade e tentato di bloccare l’aeroporto”.
Anche sul versante politico le reazioni non si sono fatte attendere. Dalla sindaca di Barcellona Ada Colau, passando per Podemos e tutta la sinistra, si è parlato di ingiustizia, si è lanciato l’invito ad un ritorno al dialogo e a trovare una strada affinché i condannati tornino liberi.
Diversi, invece, sono stati i toni e i contenuti del premier socialista Pedro Sanchez, che ha chiesto che la pena venga eseguita fino alla fine, chiudendo quindi la possibilità ad un indulto, una sorta di grazia unilaterale spagnola che non implicherebbe che i condannati chiedano scusa per ciò che hanno fatto.
“Il discorso di Sanchez è stato politicamente sbagliato – osserva Tancredi Barone – perché si è allineato perfettamente alla destra”.
Sempre secondo il giornalista, oltre alle elezioni politiche che si terranno fra poco, per l’ennesima volta, in Spagna, presto si andrà al voto anche in Catalogna proprio per effetto della sentenza, che scaverà un solco tra le posizioni delle forze al governo.
Difficile, invece, pronosticare se la questione catalana tornerà ad accendere le tensioni come fece due anni fa, all’epoca del referendum sull’indipendenza che ha portato al processo e alle condanne odierne.
“Gli imputati cercheranno di percorrere alcune strade giudiziarie che il sistema spagnolo consente, anche se probabilmente con scarsi risultati”. Eppure la sentenza contiene diversi errori tecnici che la comprometterebbero, come l’attribuzione di responsabilità ad una ministra per atti compiuti da un altro ministero.
“L’obiettivo degli imputati, però, è quello di arrivare alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo“, conclude Barone.
ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCA TANCREDI BARONE: