In una sala dibattiti trincerata da transenne e forze dell’ordine, i NoFico hanno ascoltato incensare l’opera dal palco, ma rimangono convinti delle loro ragioni. “Farinetti vada a dire ai migranti schiavizzati che è un problema di narrazione”. E ancora: “Non è vero che è un progetto senza esborsi pubblici, il Caab vale 50 milioni di euro, l’agricoltura industriale distrugge la biodiversità e quell’opera faranoica farà chiudere le botteghe”.
La paura di contestazioni alla vetrina pensata per incensare Fico (Fabbrica Italiana Contadina) è evidente: l’organizzazione della festa de l’Unità ha fatto transennare la sala dibattiti, attorno alla quale è ingente la presenza di agenti in borghese, pronti ad essere aiutati dai colleghi in tenuta antisommossa a poca distanza.
Eppure la tanto temuta contestazione non c’è stata, non al Parco Nord. Nel pomeriggio ci sono stati blitz nel punto vendita di Eataly sotto le Due Torri, ma nella kermesse democratica tutto è stato tranquillo.
Solo un ragazzo si è presentato con un cartello “NoFico”, ma è stato subito allontanato ed identificato dagli agenti in borghese. Alla faccia della democrazia.
Se i NoFico hanno scelto di non creare scompiglio durante il dibattito, però, non significa che abbiano rinunciato alla dissidenza. Tra il numeroso pubblico che gremiva la platea, infatti, diversi erano coloro che si dichiarano contrari all’opera.
Hanno ascoltato in silenzio, limitandosi a scossare il capo quando qualche relatore la sparava troppo grossa, e si sono sfogati a fine presentazione, raggiunti dai nostri microfoni.
“Farinetti vada a dire ai migranti impegnati nella raccolta dei pomodori che le condizioni di schiavitù in cui sono tenuti sono un problema di narrazione”, afferma Andrea, evocando la risposta che il patron di Eataly ha dato ad un agricoltore (leggi qui).
Ben più organica, invece, l’obiezione di Elena, attivista NoFico ed impegnata nell’appoggio di CampiAperti, l’associazione di produttori biologici che dà vita a diversi mercati contadini nei centri sociali e propone un altro modello di agricoltura.
“Una delle cose false che sono state dette in questo finto dibattito alla festa de l’Unità – osserva l’attivista – è che Fico non comporta investimenti pubblici. Il Caab è patrimonio pubblico e vale 50 milioni di euro, se il pubblico lo dà a Fico significa che ha investito 50 milioni di euro nell’opera. Allo stesso modo, Farinetti ha chiesto che la zona sia raggiunta da trasporti: chi ci mette i soldi per fare arrivare il trenino?”. Il People Mover, o qualunque altra opera trasportistica giunga a Fico, porta Elena ad avanzare una critica anche al decantato rapporto stretto con la città che la “Disneyland del cibo” dovrebbe avere. “Se ci si arriva direttamente dalla stazione o dall’aeroporto dove sta il legame con la città?”.
Altro tema: i posti di lavoro. Argomento che Andrea Segrè, presidente del Caab, ha affermato essere prematuro da affrontare. “Aprire 180 punti ristoro al Caab forse qualche posto di lavoro in città lo porta via”, osserva Elena, che interviene anch’ella sul tema della narrazione. “Le cose vanno dette, non narrate, perché la narrazione può rendere tutto un po’ più bello e anche un po’ più finto”. Di qui il ragionamento su un altro tipo di agricoltura, basato sul senso del rispetto dell’essere umano e dell’ambiente in cui vive. Concetto che difficilmente si sposa con l’agricoltura industriale.