L’esilio del presidente golpista Yaya Jammeh, che è scappato con le casse dell’erario pubblico, crea incertezza per il futuro del Gambia. Polizia e militari potrebbero prendere il potere. Il nuovo presidente è ancora in Senegal perché mancano condizioni per insediarsi. 75mila i profughi gambiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi giorni. L’intervista a Marco Iglessis di Energia per i Diritti Umani, attiva in Gambia.

Sono ore di incertezza quelle che il popolo gambiano sta vivendo. La svolta registrata nel week end, con l’abbandono del presidente golpista Yaya Jammeh, ha sicuramente rappresentato un fatto positivo, ma il furto da lui compiuto dei beni presenti nelle casse dell’erario pubblico, pari a 11 milioni di dollari, rendono la situazione complicata e non del tutto sicura. In particolare, occorre vedere come si comporteranno i settori dell’esercito e della polizia che fino all’esilio erano rimasti fedeli a Jammeh e che ora si ritrovano senza stipendio.

A raccontare questi momenti febbrili ai nostri microfoni è Marco Iglessis, presidente dell’associazione “Energia per i Diritti Umani”, che è attiva nel Paese africano con alcuni progetti di sviluppo.
“In questi ultimi giorni – racconta Iglessis – pare che 70-75mila persone abbiano lasciato il Paese per la paura di quello che sarebbe potuto accadere. La maggior parte è andata in Senegal, che circonda l’intero Gambia. Vedremo se, una volta creatasi una situazione politica stabile, tutte queste persone faranno ritorno”.

Jammeh, in carica da 22 anni dopo un colpo di Stato, ha lasciato dopo un braccio di ferro durato alcune settimane. Nelle elezioni dello scorso primo dicembre era stato sconfitto dall’oppositore Adama Barrow e, dopo aver riconosciuto la sconfitta in un primo momento, ha parlato di brogli e ha tentato di restare al potere. Le pressioni dei Paesi dell’Africa occidentale e la minaccia di un conflitto da parte soprattutto di Senegal e Nigeria hanno convinto, tre giorni fa, Jammeh ad andarsene. Nel farlo, però, ha rubato tutte le risorse dello Stato.

Proprio questo elemento non permette di avere, almeno per il momento, una transizione pacifica. Barrow, che ha prestato giuramento venerdì scorso, si trova nell’ambasciata gambiana in Senegal.
“Non si è ancora insediato – racconta Iglessis – perché le condizioni non sono ancora abbastanza sicure”. Il rischio di una presa del potere dei militari, dunque, non è da escludere ed un ruolo importante potrebbero giocarlo, ancora una volta, i Paesi dell’area nordoccidentale dell’Africa.

“In questi 22 anni il Gambia è stato una sorta di ‘dittatura democratica’ – spiega il presidente dell’associazione ‘Energia per i Diritti Umani’ – Le elezioni si svolgevano ma erano assolutamente pilotate. Gli oppositori erano costretti ad andarsene o si riunivano nelle ambasciate straniere, o addirittura all’estero, mentre gli omosessuali erano soggetti a persecuzioni”. Nell’era di Jammeh, inoltre, in Gambia si è registrato un alto numero di desapareçidos: persone scomparse di cui si è persa ogni traccia. Tutto ciò spiega l’ingente presenza di gambiani nei centri di accoglienza per richiedenti asilo in Europa.