Alla vigilia delle elezioni per il dopo-Ahmadinejad in Iran, una frangia dell’opposizione invita al non-voto per protestare contro l’esclusione di alcuni candidati eccellenti e per chiedere la separazione tra politica e religione.

Si è chiusa la campagna elettorale per le elezioni in Iran, quelle che decideranno il dopo-Ahmadinejad. Il controverso presidente non può più ricandidarsi e c’è grande incertezza su chi andrà alla guida del Repubblica Islamica, punto focale degli equilibri in Medioriente.
Tra i sei candidati in gara nessuno si sbilancia in previsioni, tanto che molti danno per scontato il ballottaggio, che si terrebbe il prossimo 21 giugno.
Molta polemica, però, si è creata attorno all’esclusione di personalità iraniane di rilievo, come l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani.

Tra i candidati ci sono almeno quattro esponenti conservatori vicini all’ayatollah Khamenei. Said Jalili è il più giovane e attualmente è segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Mohammad Baqer Qalibaf, ex capo della polizia, è sindaco di Teheran. Ali Akbar Velayati è stato a lungo ministro degli Esteri prima di divenire consigliere per gli affari esteri di Khamenei. L’indipendente Mohsen Rezai, ex comandante dei Guardiani della rivoluzione e segretario del potente Consiglio del discernimento. In campo moderato, invece, troviamo Hassan RohaniMohammad Gharazi.

Anche se la stampa non ne parla molto, però, nel Paese sta prendendo sempre più piede una frangia dell’opposizione che promette di disertare le urne. I motivi sono essenzialmente due: da un lato l’esclusione di personalità di spicco dalla competizione, dall’altro la richiesta di separare la politica dalla religione.
“Nel nostro Paese – spiega ai nostri microfoni Alì, un iraniano residente a Bologna – ci sono anche minoranze armene, cristiane e cattoliche. Occorre comprendere che la religione è una cosa e la politica un’altra”.
Il rapporto tra politica e religione, secondo l’iraniano, è al centro delle tensioni in tutta l’area, dall’Egitto alla Turchia, passando per la Somalia.

“Se molte persone non vanno a votare – sostiene Alì – il popolo persiano darà un messaggio chiaro: esiste anche un’altro Iran, quello che non sta con le politiche di Ahmadinejad e la sua negazione dell’Olocausto, ma nemmeno con le posizioni degli Stati Uniti”. Una componente laica, insomma, che cerca di farsi spazio per affermare il diritto alla pace e al pane.