ERT prosegue le celebrazioni dei suoi quarant’anni facendo firmare al regista Kostantin Bogomolov un allestimento di Delitto e Castigo lavorando insieme a un gruppo di attori italiani di alta levatura tra cui trovamo artisti del calibro di Enzo Vetrano, Renata Palminiello, Paolo Musio, Leonardo Lidi, Anna Amadori.

Confrontarsi con Delitto e castigo non deve essere facile per un regista e per un attore- attrice. Inevitabilmente ci si ritrova a fare i conti con la mitologia del romanzo, con tutte le infinite letture che ne sono state date dalla sua pubblicazione.

Bogomolov ha scelto di non farne una riscrittura, di non cambiare una virgola del testo dostoevskijano, ma di operare dei tagli, realizzando un montaggio quasi cinematografico delle parti del testo ritenute imprescindibili dal team artistico, dopo un lungo lavoro sul testo e attorno all’intero corpus di opere dell’autore, nonchè di improvvisazioni sulle tavole del palcoscenico.

Raccontare in questa sede lo spettacolo è inutilmente complesso, data la profondità  del romanzo e degli spunti di lavoro che ha offerto a ciascun attore onde costruire il proprio personaggio come punto d’arrivo dopo mesi di sperimentazioni su ipotesi interpretative di ciascun ruolo da parte di ogni componente della compagnia. 

Sicuramente illuminante e appagante di ogni curiosità pre e post visione, risulta il libricino edito da Cuepress a cura di Marzio Badali Delitto e castigo di K. Bogomolov. 

Più utile di un inevitabilmente parziale racconto dalla mia personale visione dello e sullo spettacolo per chi, tra i nostri lettori, non abbia ancora acquistato  il biglietto, ritengo sia capire che lo spettacolo in scena all’Arena del Sole fino a domenica 28 maggio, è il risultato della costruzione di un edificio, attraverso il linguaggio del teatro,  che usa i mattoni originali del romanzo per dar vita a qualcosa di altro dall’originale, in un gioco  divertito e al tempo stesso profondamente serio, ingaggiato con gli attori,  alla ricerca della cattura delle impronte energetiche dei singoli personaggi per farli risuonare sulla scena in accordo con l’ego e le motivazioni interne dell’attore così da risultare veri, concreti, non  pallidi riflessi delle creazioni ddostoevskijane.

Il tratto più evidente della prima parte dello spettacolo è l’ironia, la esilarante modalità di rappresentazione prima della lettera della madre di Raskol’nikov, presentata come una mamy nera con ampia gonna colorata in stile africano, poi del delitto della vecchia Alëna Ivanovna, ritratta come una godereccia, ricca signora che non disdegna assaggiare il “pacchetto” di Raskol’nikov rimanendo con la bocca sporca del nero cioccolato nel rigore della morte inflittale per poterle sottrarre gioielli e denaro.

Il ritmo iniziale è rapido, un succedersi incalzante degli eventi: ristettezze finanziarie, delitto, incontro con la madre e la sorella, indagine di polizia e conseguente incontro coll’ambiguo Porfirij Petrovic che progessivamente tenta di avvicinarsi alla sua preda circuendola, seducendola, fino alla definitiva cattura e incarcerazione.

Nella seconda parte il ritmo si dilata con lunghe scene madre per ogni personaggio chiave. Tra questi brani degno di menzione è sicuramente quello affidato a Vetrano che intrpreta Marmeladov in modo straordinario, con delicata compostezza velata da triste ironia. Meno efficace, causa la voluta monotonia del tono usato da Marco Cacciola, il corposo monologo di Nikolka, colui che confessa l’omicidio, mai commesso. Il personaggio viene presentato come un minorato e l’attore lo fa parlare con una nenia che dopo alcuni minuti  annoia molto e, il cambio di tono, quasi fosse un rinsavimento dell’uomo, arriva forse troppo tardi quando la stanchezza ha già preso il sopravvento sull’attenzione.

Ultima nota la riserverei al personaggio di Raskol’nikov che, avrete intuito da quanto detto in precedenza, è un nero, un immigrato che non riesce a integrarsi nella cultura d’arrivo, non prova vergogna per il delitto commesso e non è religioso, quindi non è gravato dal senso di colpa radicato nella cultura cristiana e sono gli altri personaggi a cercare di insinuare in lui sentimenti che non gli appartengono, quali appunto la vergogna e il pentimento. 

Un Delitto e castigo pieno di sorpese, di note parodistiche, di tormentoni musicali estivi che non ci si aspetta di trovare in una rappresentazione ambientata nella Russia ottocentesca, ma che alla fine divertono. Tutta l’azione scenica finisce per ruotare attorno al tema del ricatto morale di un personaggio su di un altro e la compagnia usa il sesso come cifra della sottomissione al ricatto. La forma è inusuale, ma in fondo la sostanza dei dilemmi dddostoevskijani è rispettata. 

Lo spettacolo, a tratti, porta a cali di attenzione, ma complessivamente desta curiosità, porta lo spettatore a farsi domande importanti, a intavolare discussioni post teatrali su questioni cardinali per la vita di ogni individuo e per l’organizzazione sociale in toto.

Suggerirei agli incerti di fare il biglietto e di valutare a posteriori i pro e i contro delle decisioni registiche ed attoriali. Lo stimolo intellettuale è assicurato, il prezzo del biglietto  ripagato da un ensamble davvero affiatato e di rara eleganza stilistica, pur nelle allusioni sessuali e nelle scelte parodistiche.