Le presidenziali tunisine di domenica e la visita del preseidente egiziano al Sisi, prima a Roma e poi a Parigi, accendono i riflettori su un mondo arabo in continuo movimento. Il prolungamento dei negoziati sul nucleare iraniano al luglio 2015 confermano come il “grande Medio Oriente” si trovi oggi al centro di processi politici di portata globale.
Sono giorni densi di avvenimenti per il Medio Oriente. I grandi classici delle molte crisi – da quella siriana a quella iraqena, fino alla Libia e a Israele e Palestina – lasciano per un giorno i titoli dei giornali a tre avvenimenti di grande portata. Eventi di pari importanza, ma di diverso significato.
ELEZIONI TUNISINE. Domenica la Tunisia si è recata alle urne per le prime elezioni presidenziali libere dopo la caduta di Ben Ali. Beji Caid Essebsi, leader del partito laico Nidaa Tounis e già presidente del parlamento prima della caduta del regime nel gennaio del 2011, ha ottenuto la maggioranza con oltre il 47% dei consensi, staccando nettamente il presidente uscente Marzouki, fermo a poco meno del 27%. Importante il dato dell’affluenza, che ha superato il 60%. Nonostante il grande distacco, Essebsi e Marzouki dovranno affrontarsi al secondo turno delle presidenziali, programmate per la fine di dicembre.
La Tunisia, Paese che ha acceso la miccia delle cosiddette Primavere Arabe, è oggi il contesto che con più successo ha intrapreso la transizione democratica. I problemi rimangono – crisi economica, emigrazione, attività jihadiste – e non possono dirsi marginali, ma la realtà politica tunisina si conferma essere in grande fermento. Gli osservatori dell’Unione Europea confermano che le elezioni tunisine si sono svolte in un clima di correttezza, trasparenza e pluralismo, e sono dunque da ritenersi valide.
NUCLEARE IRANIANO. Non si è trovato un accordo definitivo sul nucleare iraniano, la cui scadenza era prevista per la mezzanotte di oggi. I negoziati tra Teheran e il gruppo dei 5+1 – Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Usa più la Germania – sono dunque prolungati fino al luglio del prossimo anno. Se l’accordo dovesse essere raggiunto, l’Iran rinuncerebbe al proprio programma nucleare in cambio della rimozione delle sanzioni. I termini del negoziato sono però resi complessi, in particolare, da due fattori: la volontà iraniana di mantenere un programma nucleare per scopi civili e la scarsa fiducia del gruppo dei 5+1 – Usa su tutti – sulle reali intenzioni di Teheran.
Se il bicchiere è mezzo vuoto a causa del temporaneo fallimento dei negoziati, ciò non toglie che sia anche mezzo pieno. Non molto tempo è passato dalla lunga crisi diplomatica voluta e alimentata da George W. Bush e Mahmud Ahmadinejad. Se oggi le diplomazie statunitense e iraniana riescono quantomeno a sedersi allo stesso tavolo per discutere, non si può negare che un nuovo pragmatismo, soprattutto a seguito dell’insediamento di Rohani alla presidenza iraniana, abbia prodotto progressi sostanziali. Come ha scritto l’Economist “se i negoziatori ce la faranno, bene. Se no, non sarà un disastro”; i negoziati, peraltro, vanno avanti, seppur ad un livello diplomatico più basso.
AL SISI IN ITALIA. Il presidente egiziano al Sisi è stato ieri in visita a Roma, dove ha incontrato, tra gli altri, il premier Renzi, il presidente Napolitano e il pontefice. Raggiunto al Cairo dal Corriere della Sera alla vigilia della visita in Italia, al Sisi è stato molto chiaro sulla strategia politica della presidenza egiziana per il prossimo futuro.
Al Sisi si dice disposto ad inviare forze militari per collaborare al mantenimento dell’ordine nei territori palestinesi. Le forze militari egiziane sarebbero impegnate a tempo determinato, ma perchè ciò avvenga il presidente sostiene che «Prima deve esistere lo Stato palestinese dove inviare le truppe». Ricorda i buoni rapporti con Washington e Mosca e annuncia che visiterà la Cina a capodanno. Il presidente insiste poi sulla necesittà di potenziare le relazioni tra l’Egitto e l’Unione Europea.
L’ex generale conferma l’impegno a contrastare le forze islamiste radicali. Tra queste, nella sua visione politica, ci sono anche i Fratelli Musulmani, che oggi in Egitto sono soggetti a un processo che deciderà della condanna a morte di circa 700 militanti, tra cui l’ex presidente Mohamed Morsi. Si tratta della questione politicamente più delicata e rilevante. Da generale dell’esercito egiziano, Al Sisi ha guidato il colpo di stato che ha destituito il presidente Morsi il 3 luglio 2013. Un evento che però il presidente ricorda come la giornata in cui «Morsi cadde sotto la spinta di milioni di egiziani».
Giuseppe Acconcia, giornalista del Manifesto, sostiene che «Questa visita conferma la posizione italiana che è quella di riconoscere la legittimità di al Sisi» dopo la visita dell’ex ministro degli esteri Federica Mogherini e di quella del premier Renzi, «Primo capo di governo di un Paese dell’Ue a riconoscere l’autorità del golpista». Secondo Acconcia «È in atto in Egitto una vera e propria vendetta nei confronti dei Fratelli Musulmani» che impedisce l’agibilità della transizione democratica nel Paese.
Alessandro Albana