La storia di Michele, il giovane che si è tolto la vita ed ha lasciato una lucida lettera di denuncia contro la precarietà lavorativa e di vita, sta facendo discutere. Da un lato chi condivide il messaggio e si riconosce, dall’altro chi accusa addirittura il giovane e la sua generazione di non avere coraggio. Il commento della ricercatrice Marta Fana.
È un autentico pugno allo stomaco la lettera di Michele, giovane friulano che si è tolto la vita a fine gennaio. Prima di giungere al gesto estremo, il trentenne ha scritto una lucidissima lettera in cui spiegava il suo gesto e puntava il dito contro la precarietà, lavorativa e di vita, cui è costretta la sua generazione.
La lettera è stata pubblicata sul Messaggero Veneto per volontà dei genitori, che hanno fatto questa scelta perché la denuncia del giovane e la sua scelta non restassero vani.
La lettera ha fatto molto clamore e ha diviso l’opinione pubblica. Da un lato, i tanti e le tante giovani che si riconoscono nella stessa condizione materiale e che nelle parole scritte da Michele ritrovano la quotidianità e le difficoltà delle proprie esistenze.
Dall’altro una platea composita che, in un qualche modo, si è rivelata critica. Tra chi ipotizza che le ragioni per cui il giovane si è tolto la vita siano altre, chi contesta la scelta dei genitori di pubblicare la lettera, fino a chi, addirittura, colpevolizza la generazione precaria, accusandola di non avere coraggio. Il caso più eclatante è quello di Federica Bianchi, giornalista de l’Espresso, che sul settimanale pubblica un articolo in cui condensa una serie stucchevole di luoghi comuni sui giovani, per accusarli in buona sostanza di volere avere la vita facile e non impegnarsi abbastanza per inseguire un obiettivo.
“Non si può dire che questa che questa generazione non ci stia provando – osserva ai nostri microfoni l’economista Marta Fana – Lo dimostrano le statistiche sui giovani, che accettano qualunque tipo di lavoro, anche molto diverso dalla propria formazione, pur di lavorare“.
La condizione che vivono i giovani precari di oggi, in particolare, li costringe all’emarginazione e all’esclusione, lasciandoli quindi soli e impossibilitati a socializzare un malessere, che è sì esistenziale, ma anche materiale.
“Non si tratta di fare i capricci per avere un tipo di lavoro e non adattarsi – osserva l’economista – Il gesto di Michele è anche un gesto di libertà, perché dice ‘io nel vostro modello non riesco ad entrare, mi avete rigettato’ e con questo gesto radicale ha provato a liberarsi”.
Il punto, secondo Fana, è che a questa generazione è stata chiusa la porta in faccia dalla politica e dal settore produttivo, che continua a pagare a voucher o a risparmiare sulla sicurezza.
“Dare 97 milioni di euro per i campi da golf (inizialmente previsti nel decreto ‘salva-risparmio’ in discussione in Senato ndr) e non rifinanziare la Dis-Coll, l’assegno di disoccupazione per i collaboratori che costava la metà, è un chiaro segnale”, osserva l’economista.