Dura presa di posizione della Cgil Emilia-Romagna contro il progetto di abolizione dell’art.18, lanciato da Angelino Alfano nei giorni scorsi. Si continua “nell’idea devastante per la quale per superare la crisi bisogna eliminare i diritti di chi lavora” scrive Antonio Mattioli in una nota.
Nei giorni scorsi, l’impresa ciclopica intrapresa da Angelino Alfano per accreditarsi come colonna portante della maggioranza di governo, ha toccato il suo punto più alto. La proposta di abolire l’art.18, considerato come un residuo ideologico degli anni ’70, ha aperto un dibattito che, come sempre in Italia, si è concentrato sui cosiddetti residui ideologici da eliminare, quasi che, eliminati questi ultimi, l’Italia possa ricominciare a crescere. Se si può valutare il tentativo di Alfano di essere ricordato nella “foto di classe” del governo Renzi come “umanamente comprensibile”, difficile è non rilevare nella sua proposta l’ennesimo tentativo di eliminare quanto resta dei diritti dei lavoratori. Un tentativo non isolato, ma ormai organico ad un disegno più ampio che, dalla riforma Fornero al decreto Poletti, ha “come unico effetto quello di marginalizzare il lavoro riducendolo a puro strumento di mercato” come afferma in una nota Antonio Mattioli, responsabile politiche contrattuali della segreteria Cgil Emilia-Romagna.
Proprio per rimandare al mittente la proposta del ministro dell’interno, la Cgil Emilia-Romagna rilancia e chiede l’estensione dell’art.18 a tutte le tipologie di lavoro dipendente, definendolo un “diritto civile”. “Nel paese si è radicata l’illegalità nel sistema degli appalti con salari da fame (3€ all’ora). Il caporalato in diversi settori e territori è l’unico strumento di “regolazione” del mercato del lavoro. La rincorsa al contratto di lavoro più basso (meno salario e meno diritti) pare sia diventato uno sport nazionale.Le norme sulle cessioni di ramo d’azienda vengono utilizzate per non applicare i contratti. La cooperazione spuria diventa il soggetto più competitivo sul mercato, il 40% dei lavoratori italiani è senza tutele, la disoccupazione ha raggiunto livelli insopportabili. Di fronte a tutto ciò per qualcuno il problema resta l’articolo 18.” attacca Mattioli.
Per la Cgil, invece, “la qualificazione del lavoro e il riconoscimento dei diritti devono essere assunti come priorità per imporre una svolta radicale. Il nostro modello -continua MAttioli- passa attraverso accordi come quello della Ducati-Lamborghini, sottoscritto in Emilia Roomagna dove, anche attraverso la partecipazione pubblica, il periodo di formazione-lavoro viene retribuito e finalizzato alla stabilizzazione occupazionale: è un modello alternativo al precariato e fondato sui riconoscimento di diritti individuali e collettivi.”
“Per farla breve -conclude il sindacalista- la questione sta nel modello sociale ed economico sul quale si deve puntare per uscire dalla crisi: il liberismo ha drammaticamente fallito e milioni di italiani ne stanno pagando le conseguenze.”