Dopo le ultime assoluzioni eccellenti di casi Haradinaj, Perišić e soprattutto Gotovina, il Tribunale dell’Aja per l’ex-Jugoslavia (ICTY) torna a emettere una sentenza di condanna.
Gli imputati in questione sono sei croato-bosniaci (il “sestetto”, come lo si definisce nella stampa croata) che furono i massimi esponenti, politici e militari, della Comunità Croata di Herceg-Bosna. Si trattava di una entità nel sud della Bosnia-Erzegovina auto-proclamata nel 1991, priva di riconoscimento internazionale e poi disciolta nel 1994. I sei leader dell’Herceg-Bosna sono stati giudicati responsabili di una “impresa criminale congiunta” (Joint Criminal Enterprise) che, secondo la sentenza, aveva l’obiettivo di costituire una “Grande Croazia”, annettendo dunque la Herceg-Bosnia allo stato croato, con l’esplicito accordo del governo di Zagabria. Lo strumento per realizzare la “Grande Croazia” consisteva nell’espulsione di cittadini bosgnacchi con atti contro l’umanità quali uccisioni, deportazioni, violenze sessuali e la distruzione di proprietà, commessi sistematicamente tra il 1992 ed il 1994 in Bosnia-Erzegovina.
Le condanne degli imputati e il verdetto sul Ponte. Le condanne per i sei imputati (Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Ćorić e Berislav Pušić) ammontano variano dai 10 ai 25 anni: il massimo della pena è stato sancito per Jadranko Prlić, all’epoca Primo ministro dell’Herceg-Bosna, il minimo è andato a per Berislav Pušić, responsabile dei campi di prigionia dell’HVO, la milizia croato-bosniaca. A 20 anni è stato condannato Slobodan Praljak, una delle figure più in vista del processo per due motivi. Il primo è che Praljak faceva da intermediario tra il governo di Zagabria e quello della Herceg Bosna, svolgendo la duplice funzione di ufficiale del Ministero della Difesa croato e, allo stesso tempo, comandante dell’ Esercito dell’Herceg Bosna. Il secondo motivo è che Priljak, proprio in quanto capo delle operazioni dell’HVO nella zona di Mostar, è stato riconosciuto nella sentenza come il principale responsabile della distruzione del Ponte vecchio, lo Stari Most simbolo plurisecolare della città di Mostar e della sua convivenza tra culture. Il ponte di Mostar fu bombardato dall’HVO l’ 8 novembre 1993 e crollò il giorno successivo, arrecando, secondo la Corte, “un danno sproporzionato alla popolazione civile musulmana di Mostar”.
Zagabria fu colpevole. Il verdetto di primo grado, che arriva dopo sette anni di processo, segna un importante precedente per la storia e la giustizia internazionale. Per la prima volta, infatti, si sancisce la responsabilità della Croazia, e in particolare dell’allora presidente Franjo Tudjman, nei crimini di guerra che hanno segnato le guerre jugoslave degli anni novanta. Tudjman, insieme al ministro della difesa croato Gojko Šušak, al Presidente della Herceg-Bosna Mate Boban (tutti e tre morti tra il 1997 e il 1999) e al “sestetto” dei condannati, è esplicitamente indicato nella sentenza per aver preso parte all’impresa criminale comune a danno dei cittadini bosgnacchi. Nel testo si afferma, infatti, che sin dal dicembre 1991 (cioé, significativamente, prima ancora dell’inizio della guerra in Bosnia-Erzegovina, scoppiata nell’aprile 1992) Croazia ed Herceg-Bosna concordarono l’obiettivo di creare un’unica entità politica, alterando la composizione etnica – cioé forzando l’espulsione della popolazione non-croata dalla regione.
La sentenza arriva a definire il conflitto tra HVO ed Esercito di Bosnia-Erzegovina (Armija BiH) un “conflitto dal carattere internazionale”: le forze armate di Zagabria combattevano a fianco dell’Herceg-Bosna, e la Repubblica di Croazia “aveva pieno controllo sulle autorità civili e militari della Herceg Bosna”. La sentenza indica dunque Tudjman come il vero mandante politico di cui i quadri politici e militari dell’Herceg-Bosna, staterello fantoccio de facto dipendente da Zagabria, sarebbero stati gli esecutori materiali.
Si ricorderà che la fedina post-mortem di Tudjman (e dell’allora governo croato) era uscita pulita con la sentenza di assoluzione di Gotovina, che riguardava l’espulsione di civili serbi dalla Krajina. Il proscioglimento dell’ex-generale croato, infatti, fu un’assoluzione a Zagabria, e più in generale all’intera transizione storica della Croazia, il cui processo di indipendenza si sarebbe svolto senza macchie. Adesso (e a un mese esatto dall’ingresso della Croazia in Unione Europea) il Tribunale attribuisce nuovamente una chiara responsabilità allo stato croato, almeno per quanto riguarda la partecipazione conflitto in Bosnia-Erzegovina e le mire espansionistiche di Tudjman sulla Bosnia-Erzegovina. Resta da vedere se il verdetto non verrà ridimensionato dalla sentenza di secondo grado, che sarà emessa nel corso del 2014. Successe così con la decisione di appello che assolse Gotovina, quando la corte introdusse nuovi criteri di giudizio che potrebbero ribaltare anche questo processo. Peraltro, anche questa volta la sentenza non è passata all’unanimità. Uno dei tre giudici, il presidente Antonetti, ha infatti espresso svariati pareri contrari sui punti salienti della sentenza, tra cui il contributo del governo di Zagabria e la stessa natura delle operazioni militari dell’HVO come “crimini di guerra”.
Le reazioni nella regione. In Croazia, le prime reazioni ufficiali alla sentenza oscillano tra la prudenza e la critica. Il presidente Josipović ha affermato che “il primo pensiero va alle vittime”, ricordando la natura ambigua dei rapporti tra Croazia e Bosnia (infatti, dopo la guerra bosgnacco-croata del 1993-94, Zagabria e Sarajevo strinsero un’alleanza anti-serba che fu decisiva per le sorti del conflitto bosniaco). Per il premier croato Milanović è necessario distinguere tra la responsabilità individuale dei condannati, che ritiene indiscutibile, e quella dello stato che invece “non corrisponde alla realtà”, dato che la Croazia “ha commesso degli errori, ma è stata anche partner e alleato della Bosnia-Erzegovina, che ha aiutato molto”. Più duri gli interventi dell’opposizione di destra: Tomislav Karamarko, leader dell’HDZ (il partito fondato da Franjo Tudjman), si è detto ”sorpreso e deluso” per la decisione della corte, bollata come “inaccettabile”. Secondo il politologo zagrebese Žarko Puhovski, la sentenza non danneggerà i rapporti istituzionali con la Bosnia, ma avrà effetti sulle relazioni internazionali della Croazia. “Meno male che il voto del parlamento tedesco sull’ammissione della Croazia alla UE è avvenuto prima della sentenza (il 16 maggio, ndr). Altrimenti, avremmo avuto dei grossi problemi”.
In Bosnia-Erzegovina, il membro bosgnacco della presidenza Bakir Izetbegović ha definito la sentenza come una “vittoria della verità” aggiungendo che lo stato croato “deve riconoscere le proprie responsabilità” della guerra in BiH. Il presidente dell’Associazione delle vittime civili di Mostar si è invece detto deluso in quanto si aspettava pene più alte. Infine dalla Serbia, almeno per stavolta (relativamente) “estranea” a un verdetto dell’Aja, il premier Ivica Dačić non ha voluto commentare la condanna del “sestetto”, osservando laconicamente che “tutta la regione [balcanica] deve volgersi al futuro”. Sarebbe troppo facile rispondere a Dačić che finché non si individuano (e soprattutto si riconoscono e condividono) le responsabilità individuali, militari e politiche, il passato continuerà a ostacolare il futuro di tutta la regione.
Alfredo Sasso
Fonte: East Journal – Società, politica e cultura dell’Europa Orientale